Discorso pronunciato da Pinin Brambilla a Milano in occasione della consegna del “diploma di fedeltà” conferitole da ICOM Italia nell’ambito della Conferenza generale ICOM del luglio 2016
Il riconoscimento di ICOM mi è particolarmente gradito. Quando ho ricevuto l’invito a partecipare a questo incontro, il mio pensiero è corso a quegli anni lontani eppure vivissimi, verso la fine degli anni Sessanta, quando insieme a colleghi e amici da varie parti d’Europa e del mondo trovammo in ICOM il luogo del dialogo e del confronto professionale tra restauratori, storici dell’arte e diagnosti.
Erano anni in cui si affermava un’idea di conservazione basata sullo scambio tra diverse discipline e saperi e la nostra crescita come restauratori si rafforzava grazie a continui progressi nella tecnica, nei materiali e nella metodologia.
Il contatto con ICOM è stato per me esaltante, mi ha dato la possibilità di avvicinare grandi figure di studiosi e professionisti, di visitare i laboratori più importanti al mondo, come quello dell’IRPA di Bruxelles dove, tra l’altro, ebbi modo di conoscere aspetti importanti della documentazione del restauro delle sculture: ricordo di averne a lungo discusso con il prof. Rotondi, direttore dell’ICR, in una piazza, mangiando patatine…
Particolarmente stimolante fu pure l’incontro con Germain Bazin e le sue aperture sulla museologia, quello con la dottoressa Madeleine Hours e le novità giunte dalle sue radiografie sui dipinti di Leonardo del Louvre. Lei, persona dal carattere difficile, fu con me di una cordialità straordinaria e mi diede la possibilità di incontrarla spesso per scambiare le nostre opinioni.
Ricordo in America la Conferenza generale ICOM di Washington del 1965 e le manifestazioni in occasione del Bicentenario della nascita del fondatore dello Smithsonian Institute, oltre alla possibilità di visitare collezioni private ed esposizioni organizzate per l’occasione; l’incontro con la National Geographic Society; la conoscenza dell’uso del computer della V.S. Air Force, in uso a Cape Kennedy dal 1958 al 1961, e infine l’invito del gruppo italiano di Brera alla White House.
Oltre agli incontri con direttori e restauratori, grazie ad ICOM potei visitare i grandi musei e diversi laboratori di restauro in tanti Paesi: esperienze da cui ho tratto conoscenze, consigli e contatti umani che mi hanno arricchita non solo professionalmente.
Di tutte queste persone molti non sono più fra noi: tra questi desidero ricordare un amico e collega sempre prodigo di consigli, Paolo Cadorin, tra i primi a sondare la conservazione della pittura contemporanea, settore a cui il compianto Franco Russoli mi aveva molto spronata ad affacciarmi.
ICOM fu per me un luogo di elaborazione fertile e innovativo, ma fu anche la sede in cui nacquero e si alimentarono legami di stima e di amicizia di cui serbo il ricordo più caro.